
Intervista (im)possibile all’Olivo della strega
Nel grande oliveto, vicino alla chiesa della SS. Annunziata, a Magliano in Toscana, vive uno degli olivi più vecchi d’Italia e forse di Europa, la sua età viene stimata sui 3000/3500 anni secolo più secolo meno.
Sono stato a trovarlo, lì dove vive ormai da moltissimi secoli, assieme ai confratelli, tutti più giovani, ma alcuni con una veneranda età, oltre i 1000 anni sicuramente. Il vecchio olivo, ridotto ormai ad un tronco rugoso e malandato, ma ancora vegeto nel grosso pollone che fruttifica da diversi anni, sembra voler dire:
–Vedete come sono ancora forti le mie radici! Un fulmine mi colpì alcuni anni fa, ma io sono stato più forte, e dopo il primo momento di sconforto e di paura ho reagito e sono nuovamente esploso alla vita.
Dietro i miei ormai 3000 anni, secolo più secolo meno, ne ho viste e ne ho passate di belle e di brutte: estati calde e secche che mi facevano ingiallire le foglie e produrre olive piccole e grinzose; inverni rigidi con abbondanti nevicate e tanto ghiaccio che ha seccato molti dei miei amici, ho visto guerre e guerre combattute sotto quelle vetuste mura che mi si parano davanti e molti uomini uccisi dalle stesse e dalle pestilenze.
Quando mi sono reso conto di essere l’albero più grande e vecchio della zona, mi sono un po’ inorgoglito, mi sentivo importante, anche perché gli Auguri, gli Aruspici, sacerdoti etruschi, con i loro alti cappelli a semicono ed il loro bastone ricurvo con il quale a volte percuotevano il mio tronco, poi sacerdoti romani e poi barbari, avevano preso l’abitudine di venire all’ombra delle mie fronde, come fossi un tempio, a celebrare i loro riti pagani, a invocare i loro dei sia buoni che malefici. Ogni tanto, non so come, venivo coinvolto nel loro rituale e sentivo i miei rami scricchiolare e contorcersi in maniera innaturale fino ad assumere varie forme.
Nel gioco delle luci e delle ombre, nei vari momenti della giornata, queste forme apparivano e sparivano: erano figure di animali, di strani esseri umani e non, di simboli religiosi, per questo mi sono sentito appioppare il nome di “olivo della strega”.
A dire la verità, nel mio tronco, fino a poco tempo fa, si potevano distintamente vedere in alto, su un ramo centrale la faccia butterata di uomo o di una vecchia e, lungo il tronco, la figura di un felino in fase di arrampicata, ed accanto alla testa dello stesso, il profilo di una donna, con i capelli lunghi. Di queste immagini esistono o esistevano delle foto. Ricordo che i fotografi le scattavano verso sera, quando la luce del tramonto rendeva più evidenti anche altre immagini che si formavano sul tronco contorto e sui rami più vecchi.
Olivo della Strega
Un giorno, circa 2000 anni fa mi giunse una notizia dai miei fratelli coetanei del Getsemani, che parlava di un Uomo particolare che era un Dio, anzi loro dicevano che era Dio nelle vesti di un uomo e che venne crocifisso.
Da allora a poco a poco i riti pagani che venivano praticati all’ombra delle mie fronde divennero sempre più radi, ed io mi sono trovato sempre più solo ed abbandonato.
Poi all’improvviso sono diventato oggetto di curiosità: venivano studiosi, visitatori vari, chi mi misurava il pedone, altri calcolavano il diametro.
L’enorme tronco dell’olivo della strega
Poi alcuni iniziarono a calcolare i miei anni: chi diceva 1000, chi 2000, chi 3000, hanno analizzato il mio tronco, poi il verdetto fu che ero un olivo plurimillenario. Bella forza, io lo sapevo già!
Qui vicino a poco più di un centinaio di metri da me, dove i Romani avevano costruito una loro Domus, con un tempio, si insediarono i sacerdoti della nuova Religione, che non facevano più quegli strani riti sotto le mie fronde, ma costruirono sui ruderi romani un piccolo oratorio, con uno spiazzo dove venivano a giocare i pochi giovani dal paese, nei giorni di festa. Anche se un po’ lontano, per me era pur sempre una compagnia.
Un giorno successe un fatto strano, seppi dal mormorare delle fronde degli altri olivi, che un nostro fratello si era messo a produrre fagioli anziché olive. Da buon veterano della specie gli feci sapere, come un padre al figlio, che la cosa non andava bene, lui mi rispose con una frase da poco scritta da un grande poeta “volsi così colà dove si pote ciò che si vuole” ed io mi zittii. Purtroppo però gli uomini non sempre ascoltano questo volere e dopo qualche centinaio di anni i nuovi padroni del piccolo oratorio, che nel frattempo si era ingrandito, e che non erano più i frati ma signorotti locali, al fine di evitare i continui pellegrinaggi, “gambizzarono” il caro amico olivo, reo di avere prodotto fagioli non per suo volere. Vai a capire gli uomini!
Dopo l’ultima grande guerra, un lunedì di Pasqua, l’oliveto era gremito di persone scese dal paese per fare una festosa merenda tutti assieme, era una tradizione che la guerra aveva interrotto. Gli adulti legavano delle funi ai rami degli olivi per far fare la bigiangola (altalena) ai bambini, le donne stendevano candide tovaglie, più o meno ricamate, sull’erba soffice del prato trapuntato di margherite, e vi posavano il necessario per la merenda.
Tutto stava filando liscio, ero una bella pianta, la guerra, quella che per la prima volta mi aveva fatto sentire il boato delle bombe, era finita, gli esseri umani tornavano a fare festa nell’oliveto; da novembre fino a tutto gennaio ed anche oltre, allegre voci femminili mi facevano compagnia, erano le donne che raccoglievano le olive, e fu proprio in questo periodo di “nuova gioventù” che successe il fatto del fulmine. Il boato fu tremendo, mi contorsi, mi aprii, ma per fortuna non presi fuoco. Comunque mi sono ripreso e dopo che mi hanno “potato” qualche quintale di legna, continuo a vivere ed a fare bella mostra di me.
L’olivo della strega
Per dimostrare la mia forza ho dato vita anche ad un nuovo pollone, che ancora non è stato innestato e che quindi produce le mie olive, quelle di quando ero giovane pianta in questo bosco. Delle olive piccole e lunghe come erano 3000 anni fa.
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Lasciamo il vecchio saggio olivo, lo ringraziamo per averci raccontato la sua meravigliosa storia!
Vi riporto qualche curiosità sulla leggenda che ancora oggi lo ammanta di mistero.
Il nome di “olivo della strega” vede questo albero protagonista di una serie di leggende che si rifanno agli albori del cristianesimo quando, attorno alla pianta venivano celebrate feste campestri in onore delle divinità silvane ancora venerate dai pagani. Altri racconti fanno risalire il nome al medioevo, asserendo che sotto l’olivo di Magliano avveniva la riunione di tutte le streghe della maremma. La festa alla quale partecipavano anche fauni e centauri, per tradizione si svolgeva la notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, data che è tradizionalmente legata ai riti pagani del solstizio d’estate
La leggenda più diffusa è quella che narra di una strega che ogni venerdì, durante i suoi riti sabbatici, danzava intorno all’albero costringendo così la pianta a contorcersi fino ad assumere le forme attuali. Al termine del rito poi la strega si trasformava in un enorme gatto dagli occhi infuocati e rimaneva a vegliare l’albero tutta la notte.
Addirittura altri racconti popolari riportano che nello stesso uliveto esisteva un’altra pianta che un miracolo aveva costretto a produrre fagioli, o fave, invece delle olive. Leggete la leggenda qui.
Al di là delle storie di streghe, è emozionante trovarsi al cospetto di questo albero millenario circondato da altri vecchi ulivi dai quali è riconoscibile oltre che per le dimensioni, anche per una recinzione che lo protegge dai numerosi visitatori.
di Vittoriano Baccetti